
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
Luca 24, 28-34
La strada che porta al Santuario è una strada percorsa a tutte le ore. Battuta da pellegrini e ciclisti, da turisti che scendono e che salgono, da tanti cuori che sanno cosa vuol dire vivere momenti di gioia e sanno cosa vuol dire attraversare momenti più duri, meno chiari.
L’anno del Giubileo ci invita a percorrere le strade del mondo servendoci di quanto il nostro cuore vive e di trovare Cristo, àncora di speranza che cammina davanti a noi. La compagnia della Chiesa ancora una volta ci sostiene e ci mette davanti Gesù Risorto e vivo che vuole essere riconosciuto, che desidera con il suo sguardo raggiungerci e con la sua presenza farsi accanto a ciascuno di noi.
La strada che porta al Santuario è come la strada di Emmaus.
Al calar della sera, quando ormai fa buio, diventa la strada dei due sfiduciati, delusi e rassegnati. «Abbiamo sperato in Gesù – dicono -, ma ormai tutto è finito». Due discepoli entusiasmatisi per Gesù, che l’avevano seguito lasciando il loro villaggio, ormai si rassegnano. Tutto è finito: Gesù è chiuso nel sepolcro e con lui sono finite tutte le speranze. Lasciando Gerusalemme, in quel tramonto del primo giorno dopo il sabato, forse i due ricordano quando Gesù li aveva inviati, a due a due, perché andassero a portare l’annuncio della buona notizia. Ricordano, commemorano e basta.
Quanto entusiasmo in quella partenza! Ora invece il loro andare è carico di amarezza. Forse anche noi abbiamo avuto ore buie, segnate dalla sfiducia, dalla disperazione… Una malattia, una grave delusione, una morte possono farci dire: abbiamo sperato nel Signore, ma ormai tutto è finito, anche la mia fede in lui è morta. Quanto ci somigliano i discepoli di Emmaus!
Conosciamo il nome di uno di loro, Cleofa: potrebbe essere davvero il protettore nostro quando ci sentiamo delusi, disperati.
Scrive Francois Mauriac nella sua Vita di Gesù:
«A chi di noi l’albergo di Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Noi seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli».
Ma sulla strada, sempre più invasa dall’oscurità, c’è uno sconosciuto viandante che ci affianca e fa strada con noi. Ancora una volta è Gesù che viene a cercare e a salvare chi, sfiduciato, fa ritorno al passato. L’iniziativa è sempre di Dio: è lui che fa il primo passo, è lui che viene continuamente a cercare. L’aveva detto: «Sono venuto perché niente e nessuno vada perduto». Anche nelle ore più buie della vita non deve mai abbandonarci la certezza che Gesù è sempre colui che cerca e salva chi si è smarrito.
Anche in questo la via di Emmaus somiglia alla nostra vita. La compagnia di Gesù, anche se non riconosciuto, ridona lentamente fiducia. Quanta gente cammina senza riconoscere il Signore che fa strada con loro. Ma il loro andare non è senza la compagnia del Signore. E sulla via di Emmaus ecco il primo miracolo: è la Parola che apre l’intelligenza e aiuta a capire il groviglio dell’esistenza, soprattutto il nodo oscuro della sofferenza e della morte.
Giovanni Papini, nella sua Storia di Cristo, così descrive questo riconoscimento:
«Al viso non l’avevan saputo riconoscere e neanche alle parole, che pure somigliavan tanto alle parole di quando era vivo; non l’avevan conosciuto neanche alla luce degli occhi, mentre parlava, né al suono della voce. Ma bastò che prendesse nelle mani quel pane, come un padre che lo partisce al figlio, la sera, dopo una giornata di fatica o di viaggio, e in quell’atto amoroso, che tante volte gli avevano visto fare nelle cene improvvisate e famigliari, avevano scoperto, alla fine, le sue mani, le sue mani benedicenti e ferite, e la caligine si squarciò e si trovaron faccia a faccia collo splendore del Risuscitato».
Questo gesto non è solo quello dello stare a tavola, del prendere insieme il pasto: questo gesto è indicato con le stesse parole usate nell’Ultima Cena, quando il Signore non solo divise il pane, ma donò sé stesso, per sempre. A Emmaus Gesù dona ancora sé stesso, come in ogni Eucaristia.
Eccoci qui allora, ripercorreremo in tanti la strada verso Sant’Anna… il Signore Gesù ci offrirà il suo sguardo nel quale troveremo un’offerta da riconoscere e da accogliere: la speranza.
Una speranza che si farà Parola e Pane rivelandoci la sua misteriosa presenza. Che bello poter scendere dal Santuario e dire “non ci ardeva forse il cuore” stando lassù, respirando la presenza Sua nella compagnia della Chiesa, nei volti dei volontari, dei sacerdoti, dei pellegrini e delle persone che salendo come noi, incontreranno ciò che riempie per davvero il cuore. Solo così si compirà anche in noi l’ultimo movimento dei due discepoli che “partirono senza indugio” ad annunciare che Cristo è vivo.